Perché si è fatta tutta una lunga introduzione sulla grammatica storica e sui principali mutamenti che hanno portato alla formazione della lingua italiana? Perché non si può scindere la nascita di una letteratura dalla nascita della lingua con cui si esprime. In altre parole una letteratura è inscindibile dal medium con cui si esprime cioè la lingua. A questo punto occorre chiedersi quando nasce una lingua? Un primo problema da risolvere nel caso di antichi documenti dell’ italiano è quello della intenzionalità dello scrivente, della sua “coscienza linguistica”. Chi ha lasciato il documento voleva scrivere in italiano o in latino? Quale lingua aveva scelto?
Prima di potere parlare di testi letterari scritti in italiano passerà ancora del tempo, ma l’ italiano fa capolino come lingua scritta ben prima di comparire in questa tipologia di testi.
L’atto di nascita della lingua italiana è considerato il “Placito Capuano”
La parola “placito” viene dal latino “placitum” cioè “ciò che è piaciuto”, nel linguaggio giuridico è “ciò che è piaciuto al giudice”, cioè la sentenza emessa per scritto a conclusione di un processo. Il placito capuano è del marzo 960. Esso contiene la formula in volgare “ sao ko kelle terre, per kelle fini che ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”= so che quelle terre, entro quei confini di cui qui si parla, le ha possedute per tremt’ anni l’ Abbazia di Santo Benedetto”. Con tale formula fu risolta una lite giudiziaria fra il monastero di Montecassino e un uomo di Aquino. Tre testimoni, comparsi dinanzi al giudice Arechisi , deposero a favore del monastero,avendo in una mano una carta e toccando con il dito dell’ altra i confini del luogo discusso che era stato occupato illecitamente dal vicino laico.
L’ indovinello veronese.
La versione più probabile del testo, difficilemente decifrabile, è la seguente “se pareba boves, alba pratalia araba,/ albo versorio teneba , et negro semen seminaba”: lo scrivano spingeva avanti spingeva avanti a sé (pareba da parabat in latino) i buoi (cioè le proprie dita), arava i bianchi prati (la carta), teneva il bianco aratro( la penna: si tratta probabilmente di una penna bianca d’ oca) e seminava il nero seme (l’ inchiostro). L’ interpretazione dell’ indovinello sembra dunque legata al parallelismo fra l’ atto di arare e di seminare e quello di scrivere, fra il contadino e lo scrivano. Probabilmente il copista si è divertito a introdurre una nota ludica giocata sullo scambio fra livelli linguistici e tematici diversi (alti e bassi, dotti e popolari). I volgarismi sono evidenti: se al posto del latino sibi, negro per nigro, pareba per parabat, versorio per versorium.
Il “fumetto” di san Clemente.
L’iscrizione nella basilica di San clemente è apposta su un affresco che rappresenta un miracolo: i servi del pagano Sisinnio vogliono arrestare e portare via il santo e invece, senza che se ne accorgano, trascinano in realtà con fatica una pesante colonna. In bocca ai personaggi, come se fosse un fumetto, vengono messe delle frasi, e mentre il santo parla in latino, Sisinnio e i due servi parlano in volgare “SISINNIUM: fili de le pute traite” (figli di puttane, tirate) “GOSMARIUS: Abertel, trai” (Albertello tira) “ALBERTELLUS: falite dereto colo palo, Carvoncelle” (Fattigli sotto [di dietro ] col palo, Carboncello). “SANCTUS CLEMENS: duritiam cordis vestris saxa traere meruistis” (A causa della durezza del vostro cuore vi siete meritati di trascinare sassi). Come si vede, il volgare romanesco è considerato un linguaggio basso rispetto al latino, lingua più elevata non a caso messa in bocca al santo.